Adesso sfatiamo alcuni dei tanti falsi miti pubblicizzati per veri nel campo della panificazione.
"Meno
lievito c'è e meglio è"
Oggi si fa ancora
confusione tra “lievitazione” e “maturazione”.
Per
maturazione si intende la funzione microbiologica, dove l'amido viene
scomposto in zuccheri semplici (6-7% dell'amido in 5-6 ore).
La
lievitazione è l'unico processo visibile ad occhio nudo tramite
l'aumento di volume dell'impasto. Consiste nella produzione da parte
dei lieviti di anidride carbonica, dovuto al cibarsi degli zuccheri
semplici derivati dalla scomposizione dell'amido. E' l'unico processo
ad essere dipendente dalla temperatura, in quanto i lieviti lavorano
più velocemente a temperature comprese tra i 20 e i 30 °C, mentre
fermano la loro azione a 4 °C, e muoiono oltre i 60 °C.
La
celebre frase “mi è lievitata in pancia” è una leggenda
metropolitana piuttosto ignorante, in quanto i lieviti muoiono nel
forno durante la cottura. L'unica cosa che i lieviti (e i funghi)
portano al nostro corpo è un aiuto alla flora batterica
intestinale.
"L'amido
e il glutine devono essere scomposti per far sì che la pizza sia
digeribile"
Il nostro organismo non ha
problemi a digerire il glutine (a meno ovviamente dei casi di
celiachia ed intolleranza), le proteine ma soprattutto gli amidi, per
i quali esistono specifici enzimi (alfa e beta amilasi) deputati a
questa funzione, l’idrolisi.
Avete mai sentito qualcuno
lamentarsi di aver mangiato una bistecca?
Immaginate di avere fame
e di mangiare un croissant al bar o un babà. Questi generalmente
vengono preparati in media in 5-6 ore di lievitazione, con svariati
cambiamenti di forma e con una farina molto più forte e ricca di
glutine di una farina per pizze (e con quantità di lievito
maggiori!) La differenza tra una farina più forte e una più debole
è di circa 1-2,5 g di proteine ogni 100 g, e ad esempio se su una
margherita al prosciutto ci si mette una fetta in più si recupera
quella differenza di proteine, o ad esempio se nella formazione dei
panetti non si è pesato correttamente l'impasto (ci sono molti
professionisti che ancora fanno tutto ad occhio e senza
bilancia).
"Una pizza cotta nel forno a
legna è migliore di quella cotta in un forno elettrico"/"
La legna dona sapore alla pizza"
Falso! Ancora
oggi, quando si parla di pizza si pensa al forno a legna, ma le
tecnologie e le competenze col tempo si sono sviluppate. Una volta si
usava il forno a legna perché semplicemente esisteva solo quello.
Oltre al vantaggio dal punto di vista dell'impatto ambientale, e dal
punto di vista economico, dal punto di vista qualitativo della
cottura il forno a legna è scomodo, perché è instabile sia nel
mantenimento della temperatura sia come diffusione del calore.
Basti
pensare che nei forni di oggi, elettrici non ci sia il minimo bisogno
di girare la pizza!
Inoltre, dal punto di vista della tecnica
dell'affumicatura, una carne preparata al barbecue o un formaggio
affumicato impiegano ore per ottenere quell'odore e sapore specifico.
Mediamente la pizza tonda viene cotta tra i 1 e i 2 min. e non ha
alcun contatto né col fumo, né con la cenere della legna.
"Un
impasto più idratato più sarà digeribile da mangiare"
Questa
idea si è diffusa per via della moda del cornicione alveolato, e la
mollica aperta di prodotti come la pizza in teglia romana o la pizza
tonda detta "a canotto".
Non è affatto vera l'idea che
più acqua c'è in un impasto, più esso sarà leggero e
digeribile.
Quello che importa nella digeribilità di un prodotto
da forno è certamente la cottura.
Più acqua più si inserisce
all'interno di un impasto più esso dovrà cuocere ad una temperatura
più bassa rispetto alla sua "predefinita" idratazione, e
per più tempo.
"La farina integrale è più
digeribile"
La variazione di fibra contenuta in
una farina integrale rispetto di un bianca è di circa 8 g ogni 100 g
di farina. Su una pizza di circa 250-265 g, la cui farina totale sarà
all'incirca 150-180 g e considerando l'utilizzo del 20-30% della
farina integrale nelle pizze tonde, il contenuto di fibra assunto è
talmente minimo che non può essere rilevante nella digestione di una
persona. In una qualsiasi dieta devono essere presi in esame i
macronutrienti come riferimento.
"Se
l'impasto non matura in frigo per più di 24/48 ore non è
digeribile, meglio 120 ore piuttosto che 72"
Avete
mai visto qualcuno mettere in frigorifero per 120 ore un impasto per
torta?
No, vero?
Ma come, è pur sempre un prodotto composto da
farina eppure lo digeriamo perfettamente, che storia è mai
questa?
Semplice: la cottura, nel caso di un dolce da forno,
avviene in maniera impeccabile.
Avete presente il trucco della
nonna, lo stecco usato per verificare l'assenza di umidità nella
mollica?
Un metodo rudimentale, per verificare la gelatinizzazione
degli amidi; in assenza di quest’ultima, la digestione può essere
compromessa o rallentata a causa di fermentazioni nell’intestino ad
opera di zuccheri semplici che sfuggono alla digestione degli
enzimi.
Un altro esempio molto efficace può essere quello della
pasta, data come sinonimo di digeribilità nel mondo. La pasta non è
altro che un impasto essiccato di acqua e grano duro senza la minima
traccia di lievito al suo interno.
"La
lunga maturazione determina la digeribilità di un
prodotto?"
Durante l'impastamento è molto
importante creare una struttura con la corretta formazione del
glutine. Questa trattiene l'aria dei gas di lievitazione, e ne
conserva i profumi fino alla cottura del prodotto da forno. Un
impasto lavorato a lungo, magari per più di 48 ore sarà molto
difficile da stendere.
Si presenterà con una struttura vetrosa e
rilascerà nel contenitore di mantenimento acqua, rilasciata
dall'amido che si retrograda. L'impasto sarà difficile da stendere,
e si strapperà, perché il glutine rompendosi non sarà più
estensibile.
La maturazione agevola anche un fenomeno molto
importante.
Gli zuccheri semplici detti “riducenti” a
temperature di almeno 140 °C innescano la celebre Reazione di
Maillard, responsabile del colore bruno e soprattutto
dell’incredibile profumo che si scatena durante la cottura dei
panificati come di qualsiasi altro cibo come ad esempio la carne o le
patate fritte.
Non solo quindi tale quantità non giustifica
l’attribuzione della digeribilità alla maturazione, ma esagerare
con tale processo causa un esaurimento di tutti gli zuccheri
riducenti presenti nell’impasto ad opera dell’attività
metabolica dei lieviti; una pizza cotta in questo stato viene
denominata in gergo “scarica”, e si presenta bassa, chiusa ma
soprattutto estremamente pallida, sintomo che la reazione di Maillard
non è avvenuta correttamente.
Lo sviluppo di una buona
alveolatura agevola il passaggio del calore durante la cottura e la
conseguente gelatinizzazione degli amidi in tempi brevi, motivo per
cui portare lievitazione e/o maturazione troppo a lungo, potrebbe
causare un risultato opposto a quello desiderato.
Inoltre se si
pensa alla storia secondo cui, la digestione avviene ad opera degli
enzimi nell'impasto, si pensa che più ore stia un impasto a
"maturare" più questo sia leggero. In realtà come già
visto, questo tempo è molto meno rispetto a quello pubblicizzato, e
inoltre quando si pensa ad un impasto fatto per più giorni
generalmente vengono usate farine più forti, quindi con più
proteine.
Che correlazione hanno mai amidi scomposti e proteine?!
Nessuna.
"Quando è che allora la pizza è
digeribile?"
La digeribilità può essere non può essere
spiegata con un termine comune e non è scientificamente
riproducibile in laboratorio.
E' certo sì che la digeribilità
può essere determinata da una serie di fattori:
- cosa si è
mangiato durante la giornata;
- da cosa e quanto si è mangiato
(come ad esempio se si è bevuta una bibita gassata, si è mangiato
un antipasto come patatine fritte o il dessert);
- dalla qualità
dei prodotti sulla pizza;
- da quanti condimenti ci siano sulla
pizza (per esempio ortaggi, salumi, formaggi);
- da quanti e quali
grassi c'erano nell'impasto o sulla pizza;
- dal peso della
pizza;
- da quanta pizza si mangia;
- da una questione di
costituzione corporea come il metabolismo;
- da una
predisposizione mentale (per esempio se si è arrabbiati o giù di
morale);
- da una pessima cottura del prodotto deve essere cotto
bene (non crudo, biondo né bruciato);
- dall'eccesso di sale
nell'impasto;
- un aumento dell'indice glicemico che può portare
alla sensazione continua di sete.
Il nostro cervello impiega circa 15 minuti a recepire il segnale di sazietà dal nostro stomaco. Masticare meglio e più lentamente il cibo e dedicare il tempo giusto ai nostri pasti significa facilitare questo processo di comunicazione tra stomaco e cervello. I denti permettono al cibo di essere sminuzzato in piccoli pezzi che, ricoperti di saliva, entrano nello stomaco per cominciare il processo di digestione. Più la masticazione è lunga, migliore sarà la digestione da parte del nostro sistema gastro intestinale. Inoltre, le sostanze nutritive saranno rilasciate più velocemente per comunicare con efficacia al cervello il senso di sazietà.
Anziché propinare slogan
assurdi nessuno porta nella comunicazione del proprio prodotto il
basso contenuto di sale o la totale assenza di grassi.
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