21) FALSI MITI E CREDENZE SU PIZZA, PANE E PRODOTTI DA FORNO...

 Adesso sfatiamo alcuni dei tanti falsi miti pubblicizzati per veri nel campo della panificazione.


"Meno lievito c'è e meglio è"

Oggi si fa ancora confusione tra “lievitazione” e “maturazione”.
Per maturazione si intende la funzione microbiologica, dove l'amido viene scomposto in zuccheri semplici (6-7% dell'amido in 5-6 ore).
La lievitazione è l'unico processo visibile ad occhio nudo tramite l'aumento di volume dell'impasto. Consiste nella produzione da parte dei lieviti di anidride carbonica, dovuto al cibarsi degli zuccheri semplici derivati dalla scomposizione dell'amido. E' l'unico processo ad essere dipendente dalla temperatura, in quanto i lieviti lavorano più velocemente a temperature comprese tra i 20 e i 30 °C, mentre fermano la loro azione a 4 °C, e muoiono oltre i 60 °C.
La celebre frase “mi è lievitata in pancia” è una leggenda metropolitana piuttosto ignorante, in quanto i lieviti muoiono nel forno durante la cottura. L'unica cosa che i lieviti (e i funghi) portano al nostro corpo è un aiuto alla flora batterica intestinale.

"L'amido e il glutine devono essere scomposti per far sì che la pizza sia digeribile"

Il nostro organismo non ha problemi a digerire il glutine (a meno ovviamente dei casi di celiachia ed intolleranza), le proteine ma soprattutto gli amidi, per i quali esistono specifici enzimi (alfa e beta amilasi) deputati a questa funzione, l’idrolisi.
Avete mai sentito qualcuno lamentarsi di aver mangiato una bistecca?
Immaginate di avere fame e di mangiare un croissant al bar o un babà. Questi generalmente vengono preparati in media in 5-6 ore di lievitazione, con svariati cambiamenti di forma e con una farina molto più forte e ricca di glutine di una farina per pizze (e con quantità di lievito maggiori!) La differenza tra una farina più forte e una più debole è di circa 1-2,5 g di proteine ogni 100 g, e ad esempio se su una margherita al prosciutto ci si mette una fetta in più si recupera quella differenza di proteine, o ad esempio se nella formazione dei panetti non si è pesato correttamente l'impasto (ci sono molti professionisti che ancora fanno tutto ad occhio e senza bilancia).

"Una pizza cotta nel forno a legna è migliore di quella cotta in un forno elettrico"/" La legna dona sapore alla pizza"

Falso! Ancora oggi, quando si parla di pizza si pensa al forno a legna, ma le tecnologie e le competenze col tempo si sono sviluppate. Una volta si usava il forno a legna perché semplicemente esisteva solo quello. Oltre al vantaggio dal punto di vista dell'impatto ambientale, e dal punto di vista economico, dal punto di vista qualitativo della cottura il forno a legna è scomodo, perché è instabile sia nel mantenimento della temperatura sia come diffusione del calore.
Basti pensare che nei forni di oggi, elettrici non ci sia il minimo bisogno di girare la pizza!
Inoltre, dal punto di vista della tecnica dell'affumicatura, una carne preparata al barbecue o un formaggio affumicato impiegano ore per ottenere quell'odore e sapore specifico. Mediamente la pizza tonda viene cotta tra i 1 e i 2 min. e non ha alcun contatto né col fumo, né con la cenere della legna.

"Un impasto più idratato più sarà digeribile da mangiare"

Questa idea si è diffusa per via della moda del cornicione alveolato, e la mollica aperta di prodotti come la pizza in teglia romana o la pizza tonda detta "a canotto".
Non è affatto vera l'idea che più acqua c'è in un impasto, più esso sarà leggero e digeribile.
Quello che importa nella digeribilità di un prodotto da forno è certamente la cottura.
Più acqua più si inserisce all'interno di un impasto più esso dovrà cuocere ad una temperatura più bassa rispetto alla sua "predefinita" idratazione, e per più tempo.

"La farina integrale è più digeribile"

La variazione di fibra contenuta in una farina integrale rispetto di un bianca è di circa 8 g ogni 100 g di farina. Su una pizza di circa 250-265 g, la cui farina totale sarà all'incirca 150-180 g e considerando l'utilizzo del 20-30% della farina integrale nelle pizze tonde, il contenuto di fibra assunto è talmente minimo che non può essere rilevante nella digestione di una persona. In una qualsiasi dieta devono essere presi in esame i macronutrienti come riferimento.

"Se l'impasto non matura in frigo per più di 24/48 ore non è digeribile, meglio 120 ore piuttosto che 72"

Avete mai visto qualcuno mettere in frigorifero per 120 ore un impasto per torta?
No, vero?
Ma come, è pur sempre un prodotto composto da farina eppure lo digeriamo perfettamente, che storia è mai questa?
Semplice: la cottura, nel caso di un dolce da forno, avviene in maniera impeccabile.
Avete presente il trucco della nonna, lo stecco usato per verificare l'assenza di umidità nella mollica?
Un metodo rudimentale, per verificare la gelatinizzazione degli amidi; in assenza di quest’ultima, la digestione può essere compromessa o rallentata a causa di fermentazioni nell’intestino ad opera di zuccheri semplici che sfuggono alla digestione degli enzimi.
Un altro esempio molto efficace può essere quello della pasta, data come sinonimo di digeribilità nel mondo. La pasta non è altro che un impasto essiccato di acqua e grano duro senza la minima traccia di lievito al suo interno.

"La lunga maturazione determina la digeribilità di un prodotto?"

Durante l'impastamento è molto importante creare una struttura con la corretta formazione del glutine. Questa trattiene l'aria dei gas di lievitazione, e ne conserva i profumi fino alla cottura del prodotto da forno. Un impasto lavorato a lungo, magari per più di 48 ore sarà molto difficile da stendere.
Si presenterà con una struttura vetrosa e rilascerà nel contenitore di mantenimento acqua, rilasciata dall'amido che si retrograda. L'impasto sarà difficile da stendere, e si strapperà, perché il glutine rompendosi non sarà più estensibile.
La maturazione agevola anche un fenomeno molto importante.
Gli zuccheri semplici detti “riducenti” a temperature di almeno 140 °C innescano la celebre Reazione di Maillard, responsabile del colore bruno e soprattutto dell’incredibile profumo che si scatena durante la cottura dei panificati come di qualsiasi altro cibo come ad esempio la carne o le patate fritte.
Non solo quindi tale quantità non giustifica l’attribuzione della digeribilità alla maturazione, ma esagerare con tale processo causa un esaurimento di tutti gli zuccheri riducenti presenti nell’impasto ad opera dell’attività metabolica dei lieviti; una pizza cotta in questo stato viene denominata in gergo “scarica”, e si presenta bassa, chiusa ma soprattutto estremamente pallida, sintomo che la reazione di Maillard non è avvenuta correttamente.
Lo sviluppo di una buona alveolatura agevola il passaggio del calore durante la cottura e la conseguente gelatinizzazione degli amidi in tempi brevi, motivo per cui portare lievitazione e/o maturazione troppo a lungo, potrebbe causare un risultato opposto a quello desiderato.
Inoltre se si pensa alla storia secondo cui, la digestione avviene ad opera degli enzimi nell'impasto, si pensa che più ore stia un impasto a "maturare" più questo sia leggero. In realtà come già visto, questo tempo è molto meno rispetto a quello pubblicizzato, e inoltre quando si pensa ad un impasto fatto per più giorni generalmente vengono usate farine più forti, quindi con più proteine.
Che correlazione hanno mai amidi scomposti e proteine?! Nessuna.

"Quando è che allora la pizza è digeribile?"

La digeribilità può essere non può essere spiegata con un termine comune e non è scientificamente riproducibile in laboratorio.
E' certo sì che la digeribilità può essere determinata da una serie di fattori:

- cosa si è mangiato durante la giornata;
- da cosa e quanto si è mangiato (come ad esempio se si è bevuta una bibita gassata, si è mangiato un antipasto come patatine fritte o il dessert);
- dalla qualità dei prodotti sulla pizza;
- da quanti condimenti ci siano sulla pizza (per esempio ortaggi, salumi, formaggi);
- da quanti e quali grassi c'erano nell'impasto o sulla pizza;
- dal peso della pizza;
- da quanta pizza si mangia;
- da una questione di costituzione corporea come il metabolismo;
- da una predisposizione mentale (per esempio se si è arrabbiati o giù di morale);
- da una pessima cottura del prodotto deve essere cotto bene (non crudo, biondo né bruciato);
- dall'eccesso di sale nell'impasto;
- un aumento dell'indice glicemico che può portare alla sensazione continua di sete.

Il nostro cervello impiega circa 15 minuti a recepire il segnale di sazietà dal nostro stomaco. Masticare meglio e più lentamente il cibo e dedicare il tempo giusto ai nostri pasti significa facilitare questo processo di comunicazione tra stomaco e cervello. I denti permettono al cibo di essere sminuzzato in piccoli pezzi che, ricoperti di saliva, entrano nello stomaco per cominciare il processo di digestione. Più la masticazione è lunga, migliore sarà la digestione da parte del nostro sistema gastro intestinale. Inoltre, le sostanze nutritive saranno rilasciate più velocemente per comunicare con efficacia al cervello il senso di sazietà.

Anziché propinare slogan assurdi nessuno porta nella comunicazione del proprio prodotto il basso contenuto di sale o la totale assenza di grassi.

Commenti